Arno Gruen sul Terrorismo

SUL TERRORISMO*

Arno Gruen (2015)

Recenti pubblicazioni e convegni sul terrorismo hanno insistito sull’incapacità di comprenderne la genesi. Già Norman Cohn, nel suo pionieristico studio del 1957 “All’inseguimento del Millennio” mostrò come nell’Europa occidentale tra l’undicesimo e il sedicesimo secolo, in situazioni di disorientamento di massa e di ansietà, credenze a proposito di una futura età dell’oro finirono per servire come veicolo per il terrore, alimentate da rivoluzionari presunti profeti o presunti messia. Nella sua analisi egli non solo spiega il fascismo del 20° secolo, ma fornisce anche la base per comprendere il terrorismo attuale.

Cohn, nel suo libro, descrive come movimenti rivoluzionari di poveri, guidati da presunti messia, sorgessero in aree che stavano diventando seriamente sovrappopolate e che erano coinvolte in un processo di rapido cambiamento economico e sociale dacché, dall’undicesimo secolo in poi, alcune aree dell’Europa divennero sufficientemente pacifiche perché la popolazione aumentasse e il commercio si sviluppasse.

In una misura che difficilmente può definirsi esagerata, la vita dei contadini fu allora informata e sostenuta dai costumi e dalla routine della vita comunale … Le relazioni sociali all’interno del villaggio erano regolate da norme che … erano sempre sancite dalla tradizione ed erano sempre considerate inviolabili … La rete delle relazioni sociali in cui un contadino era nato era così forte ed era talmente data per scontata che ogni forma di disorientamento radicale era impossibile. Per tutto il tempo in cui questa rete rimase intatta i contadini godettero non solo di una certa sicurezza materiale ma anche … di un certo sentimento di sicurezza, una sicurezza di base che né la povertà costante né i pericoli occasionali potevano distruggere.”[1]

Tuttavia, la crescente popolazione, che aumentava letteralmente a salti e balzelloni, cercò rifugio nelle città che si stavano ingrandendo. In questo modo si formò un proletariato su base cittadina. Non se la passavano meglio dei contadini, e in più soffrivano di un disorientamento che non che non si riscontrava nel regime feudale.

“Non c’era alcun corpo immortale di usi e costumi che potessero invocare in loro difesa, non c’era alcuna carenza di manodopera a dar peso alle loro rivendicazioni. Soprattutto, non erano sostenuti da alcuna rete di relazioni sociali comparabile con quella che sosteneva un contadino. La maggior parte di loro, per una ragione o per l’altra, non riusciva quindi a trovare un posto sicuro e riconosciuto – questa gente, vivendo in uno stato di frustrazione e ansietà cronica, formava gli elementi più impulsivi e instabili nella società medioevale … (e) nella popolazione sovrabbondante che viveva ai margini della società c’era sempre una forte tendenza a reclutare come leader un laico, oppure un frate o un monaco che aveva apostatato, che si imponeva non solo come sant’uomo, ma anche come profeta, sapiente e perfino come dio in terra. Con la forza delle ispirazioni e delle rivelazioni per cui reclamava la sua origine divina, questo leader decretava per i suoi seguaci una missione comune di vaste dimensioni, la cui importanza avrebbe scosso il mondo. La convinzione di avere una tale missione, di avere l’incarico divino di farsi carico di un compito prodigioso, forniva ai disorientati e ai frustrati nuovi impegni e nuova speranza. Non dava loro semplicemente un posto nel mondo, bensì un posto nuovo e splendido. Una fraternità di questo tipo sentiva di essere una élite, a infinita distanza e al di sopra dei comuni mortali… “[2]

Ciò che è necessario riconoscere è che non il desiderio di migliori condizioni sociali è la motivazione primaria alle spalle di tali movimenti, bensì la necessità di strutture sociali che contrastino il disorientamento e l’ansietà derivante dalla mancanza di significato sociale. E’ per la mancanza di significato sociale, dovuta alla perdita di status, alla perdita di lavoro e all’esperienza dell’umiliazione, che il disorientamento personale divenne un fattore politico nel comportamento sociale.

Ribellioni che iniziano con una base di tal genere non mirano alla libertà, ma ricercano la sottomissione a strutture autoritarie. Un buon esempio è il lavoro dello storico americano John Bushnell che mostrò, nel suo “Ammutinamento e repressione” come l’esercito Russo, negli anni 1905 e 1906 si ammutinò ripetutamente mentre, nello stesso tempo, reprimeva rivolte. Le truppe che repressero le rivolte dal Gennaio all’Ottobre 1905 si ammutinarono dalla fine di ottobre all’inizio di Dicembre, e alla fine di Dicembre ripresero a sparare ai civili, per poi ribellarsi nuovamente da Maggio a Giugno 1906 finché, alla fine di Luglio, nuovamente ripresero a soffocare sollevazioni.

Bushnell mostra come il comportamento fluttuante dei soldati non avesse nulla a che fare col modo in cui venivano trattati, né con le loro vedute politiche. Tutto ciò che contava era come essi percepivano l’autorità del regime. Se si convincevano che il vecchio regime si stava avvicinando alla fine si ammutinavano, ma se credevano che esso detenesse ancora il controllo, reprimevano i civili.

La disintegrazione di una struttura sociale produce ribellione, ma una struttura di personalità basata sul conformismo continua a ricercare un’autorità a cui sottomettersi. Un sé non autonomo non si rivolta perché è andato incontro a una fondamentale trasformazione, semplicemente cambia il bersaglio della violenza che ha dentro. Possono esserci delle rivolte, ma quando esprimono una soggiacente sottomissione, il risultato è la brama di salvezza attraverso l’identificazione con l’autorità.

Quando però la nuova autorità presenta la distruzione come una azione santa, la rivolta da campo libero all’odio. Henry Miller, un gran ribelle egli stesso, scrive nel suo studio su Rimbaud “Il tempo degli assassini”, che l’inclinazione alla ribellione potrebbe essere la ricerca della propria autentica connessione all’umanità, ma che sbaglia strada quando lo scopo diviene il conformarsi ad una autorità. Il ribelle ”è un traditore fino al midollo dal momento che ha paura dell’umanità che ha in sé, che lo metterebbe insieme agli altri esseri umani …” . La sua dipendenza da una autorità produce un’azione omicida che ha perso qualsiasi connessione con l’esperienza umana. L’assassinio diventa una protesta simbolica in cui la vittima non ha alcun significato personale. I terroristi dedicano tutta la loro attenzione alla meccanica della progettazione e delle procedure, cosicché l’atto omicida perde completamente il contatto con le ultime vestigia del sentimento. Qualsiasi consapevolezza della natura omicida dei loro gesti è soffocata. In questo modo essi diventano irraggiungibili come il mondo che li ha creati.

Walter Benjamin mise in luce che Hitler aveva venduto se stesso, nella sua grandiosità, come una specie di spettacolo teatrale. Per Benjamin il fascismo non era una ideologia, ma un modo di dare alle persone un senso di identità, gettandole in pose di dominazione, dovere e obbedienza. Un simile tipo di identità, però, non ha fondamenti nei sentimenti della compassione e dell’empatia, che sono la base di una identità autonoma. Piuttosto, simili strutture identitarie sono basate sull’identificazione con l’autorità e l’obbedienza, che impedisce la formazione di una identità genuina. Un processo del genere sfocia in ciò che Edward Young, poeta Inglese del 18° secolo, descrive così: “Siamo nati originali, moriamo come delle copie”.

Ma il senso di vuoto che accompagna tali identità le rende adatte per mettere in scena spettacoli di massa, che danno loro il sentimento di essere in linea con la forza e con il potere. Lo psicoanalista Inglese Donald Winnicott descriveva l’identità di queste persone come il risultato dell’identificazione con autorità punitive. Un processo di questo tipo impedisce la scoperta di sé e di conseguenza l’elaborazione personale di una identità. Non c’è alcuna auto-determinazione, solo la sparizione di un sé individuale. Per individui così, fare i conti con le loro paure e con l’odio significa proiettarli dentro “nemici” al di fuori di se stessi.

 Il Nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura, nel suo libro sul fardello della memoria descrive persone di questo genere come esseri che vorrebbero essere padroni di se stessi. Tuttavia ciò non è possibile, dal momento che non hanno mai avuto padronanza sulla loro esistenza. Queste persone però credono di poter recuperare la presa sulle loro vite per il fatto di arrivare a disporre delle vite di altri, umiliandoli o uccidendoli. Questo genere di fantasie sul potere è caratteristico dei terroristi. Ma, come Soyinka mette in luce con grande chiarezza, essi sono quelli che costantemente si piegano e si sottomettono, e perciò sono degli autentici codardi. Sono quelli che, nella loro cieca obbedienza all’autorità, si sono sottomessi e hanno fatto di se stessi degli schiavi. Essi però pensano di essere liberi dal momento che hanno il potere di togliere la vita ad un altro.

Il terrorismo ha due cause separate e interconnesse: viviamo in un periodo di continue catastrofi, dove per molti diventa impossibile trovare significato alle proprie vite. E quando il significato si radica nello “status sociale” e nella qualità del lavoro che uno fa, la combinazione di questi due elementi con un ambiente sociale umiliante produce un senso di impotenza che velocemente si tramuta in aggressività e autocommiserazione. Il terrore e la violenza che ne risultano possono essere contenuti solamente quando la miseria, la povertà, la segregazione e l’umiliazione sono ridimensionati. L’altro fattore che contribuisce ha a che fare con strutture di identità che non danno alcun punto fermo se quelle necessità non sono soddisfatte. Ma questo, naturalmente, è un problema culturale più generale, riguardante la problematica dell’amore genuino e della genuina esperienza empatica in grado di produrre sé autentici anziché sé basati sull’identificazione con l’autorità.

Il problema fondamentale che Norman Cohn diagnosticò per il Millennio rimane lo stesso oggi. Nel Medio Evo la perdita di contatti sociali per i contadini che si rifugiavano nelle città in crescita, a causa del collasso dei loro mezzi economici, risultò nella distruzione del loro senso di sicurezza sociale e significato personale. Oggi un movimento dello stesso tipo, che però questa volta coinvolge popolazioni di interi continenti, ha creato una perdita simile nel significato personale, dando luogo a disperazione omicida. E così come in precedenti epoche storiche, queste persone diventano preda di autorità “in guisa del sé”, che promettono di risollevarle dalla loro impotenza attraverso l’azione violenta.


 

* basato su: Gruen A., Wider den Terrorismus (“Contro il terrorismo”). Klett-Cotta, Stuttgart, 2015. Traduzione di Massimo Schinco con il permesso dell’Autore.

[1] Cohn N., The Pursuit of the Millennium: Revolutionary Millenarians and Mystical Anarchists of the Middle Ages. Oxford University Press, 1961, 1970.

[2] Cohn N., op. cit.